La differenza tra autore e narratore
L’autore è colui che compone l’opera. All’interno del testo è presente poi un narratore, cioè la “voce” che racconta gli eventi, in terza o in prima persona. Il narratore non va confuso con l’autore: infatti, mentre l’autore è un individuo storico concreto, il narratore è un artificio, una costruzione fittizia, interna alla narrazione. Si possono distinguere:
- il narratore esterno, che racconta, in genere in terza persona, eventi a cui non ha preso parte (come avviene, ad esempio, nel romanzo de I Promessi sposi di Alessandro Manzoni);
- il narratore interno, che racconta in prima persona gli eventi di cui è stato protagonista o testimone. In questo caso, possiamo avere due tipi di narratore interno: il narratore omodiegetico, che coincide con un personaggio della storia (ad es. Watson che racconta al lettore le avventure di Sherlock Holmes) e il narratore autodiegetico, che coincide con il protagonista della storia (ad es. Libero Marcel che racconta al lettore la sua storia in prima persona nel romanzo Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli).
Il punto di vista
Perché qualcuno possa raccontare una storia è necessario che egli abbia assistito ai fatti: nel momento in cui stipula il contratto di veridizione con il lettore, il narratore afferma, più o meno implicitamente, di aver assistito alle vicende che si accinge a narrare. Ma il fatto di assistere implica necessariamente l’adozione di un punto di vista: da quale punto di vista il narratore guarda a ciò che racconta?
Vediamo, dunque, un altro elemento importante in narratologia: il punto di vista adottato dal narratore nella messa a fuoco degli eventi, ovvero, con parola tecnica, la focalizzazione. Ne esistono di diversi tipi.
La focalizzazione zero
Si ha un racconto a focalizzazione zero quando la narrazione non è orientata secondo il punto di vista di nessuno dei personaggi. In questo caso il narratore «ne sa di più» dei personaggi stessi e, osservando la vicenda come dall’alto, può sia riferire le loro azioni sia fornire le motivazioni del loro agire. In particolare, se il narratore è esterno e la focalizzazione zero, si parla di narratore onnisciente, cioè «che sa tutto» nel senso che conosce tutti personaggi, tutti gli eventi della narrazione, anche passati e futuri, e può quindi intervenire nella narrazione con analessi e prolessi.
Un esempio celeberrimo di questo tipo di focalizzazione è contenuto nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, in cui il narratore è esterno, onnisciente e palese, perché:
- conosce passato, presente e futuro;
- è informato di avvenimenti che si svolgono contemporaneamente in luoghi diversi o inaccessibili per eventuali testimoni;
- sa quello che pensano e sentono intimamente i personaggi.
Adelmo legò la bicicletta ad un palo della luce augurandosi di ritrovarla tutta, ruote e fanalino compresi. Al numero 4 il portone era aperto, la custode doveva ancora essere nella sua guardiola. L’androne era stretto e le due bocce di cemento poste a protezione dell’ingresso erano state sbrecciate in più punti da carrettieri poco accorti; dai muri scrostati veniva su un odore di umido e di vecchio, di spazzatura e di piscio di gatto, quella miscela di odori che tutti coloro che avevano vissuto nelle antiche case del centro conoscevano talmente bene da chiamarla con nome unico e intraducibile, odor d’arciuff.
La focalizzazione esterna
Il racconto a focalizzazione esterna si ha quando la narrazione è orientata da un punto di vista esterno alla vicenda narrata. In questo caso il narratore «ne sa meno» dei personaggi stessi e si limita registrare i fatti. È il caso dei racconti che si riducono a puro dialogo o a una narrazione assolutamente oggettiva come auspicano i romanzieri veristi.
Ad esempio, nella novella Rosso Malpelo, Giovanni Verga fornisce un esempio magistrale di narrazione con focalizzazione esterna. La novella di Verga racconta la storia di un ragazzo che lavora in una cava di rena. Tutti lo chiamano Rosso Malpelo a causa dei suoi capelli rossi che, secondo una credenza popolare, sono segno di cattivo carattere e a causa di questa superstizione in paese diffidano di lui e anche la madre e la sorella lo maltrattano e lo respingono. La novella inizia con la descrizione del protagonista:
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era “malpelo”, c’era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni.
Verga descrive Malpelo utilizzando il punto dei vista degli operai della cava, immersi in un mondo primitivo e violento, dominato dalla superstizione e da assurde credenze. La scelta di osservare la realtà con lo sguardo dei poveri che accettano lo sfruttamento inumano a cui vengono sottoposti come se fosse naturale e ineluttabile, permette a Verga di esprimere in termini oggettivi la sua visione pessimistica della società, incapace di cambiare e di evolversi. Il protagonista della novella rappresenta tutti gli infelici che condividono il suo destino, tutti i vinti, per questo non ha un nome proprio e viene indicato con l’appellativo Malpelo o con pronomi (egli, ei, lo):
Egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio la loro minestra, e facevano un po’ di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello fra le gambe, per rosicchiarsi quel po’ di pane bigio, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finché il soprastante lo rimandava al lavoro con una pedata. Ei c’ingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio dell’asino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e sporco di rena rossa, che la sua sorella s’era fatta sposa, e aveva altro pel capo che pensare a ripulirlo la domenica.
La focalizzazione interna
Si ha un racconto a focalizzazione interna, quando la narrazione è orientata secondo il punto di vista di uno o più personaggi interni alla vicenda. In questo caso il narratore «ne sa quanto» il personaggio di cui adotta il punto di vista. Il caso più tipico è quello del narratore interno che racconta la propria storia, osservandola dal proprio punto di vista, in modo soggettivo. Ne è un esempio il romanzo Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, in cui il narratore coincide con la figura del protagonista, Mattia Pascal, che racconta il prima persona la sua vicenda:
Ma un giorno finalmente vennero a dirmi che mia moglie era stata assalita dalle doglie, e che corressi subito a casa. Scappai come un dàino: ma più per sfuggire a me stesso, per non rimanere neanche un minuto a tu per tu con me, a pensare che io stavo per avere un figliuolo, io, in quelle condizioni, un figliuolo!
Appena arrivato alla porta di casa, mia suocera m’afferrò per le spalle e mi fece girar su me stesso:
– Un medico! Scappa! Romilda muore!
L'evoluzione delle tecniche narrative
Il romanzo dell’Ottocento tende a impiegare prevalentemente la narrazione esterna a focalizzazione zero, ossia con narratore onnisciente, che organizza la materia narrativa suo piacimento, dominando la con la propria interpretazione. I Promessi sposi di Manzoni ne sono un esempio.
Nella seconda metà dell’Ottocento, con la narrativa verista, alcuni autori adottano un particolare tipo di narrazione, che prevede l’eclissi dell’autore e la regressione del narratore a un punto di vista interno alla narrazione, spesso corale. Un esempio è costituito da I Malavoglia di Verga.
Nella narrativa del Novecento, infine, in parallelo con il prevalere della soggettività, predominano i romanzi narrati in prima persona o comunque con focalizzazione interna. Romanzi come Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello o La coscienza di Zeno di Italo Svevo sono narrati interamente in prima persona da un protagonista che è anche io narrante.